Motivazioni su cosa c'e' dietro

Da non prendere come generiche per tutti

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  1. speranza74
     
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    Ciao a tutte.
    Io sto facendo un percorso psicologico prima di affrontare la chirurgia ricostruttiva.
    Volevo elencare o dire alcune delle motivazioni che ci hanno portato ad ammalarci di Disturbi del Comportamento Alimentare.
    Innanzitutto per chi usa facebook volevo consigliare il gruppo Mondosole, che si occupa a Rimini proprio del recupero psicologico delle persone affette da tale patologia.
    E anche un libro ed. Feltrinelli che si intitola Donne che mangiano troppo di
    Renate Gockel che indica attraverso lo studio di una paziente le motivazioni che hanno portato a cio'.
    Dal senso di vergogna perenne, alla mancata simbiosi materna (quasi tutte non sono state allattate da bambine al seno) ecc...
    Se vi interessa posso parlare di alcune cose che stanno un po' alla base.
    Attraverso il mio vissuto
    Non sono un'esperta e non ho la soluzione per tutto..
     
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  2. speranza74
     
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    Tratto da un centro che si occupa di disturbi alimentari

    Il profondo senso di vuoto esistenziale e d’identità che sentiamo ci spingono alla ricerca continua di riempitivi che plachino questa sensazione e il cibo (o il suo pensiero costante) diventa l’unico oggetto desiderato. Ci sentiamo divise a metà, tra parte razionale ed emotiva, e il sintomo è ciò che ci identifica, l’unica certezza di un mondo reale da cui si fugge per la paura di affrontare le sue difficoltà e le emozioni che produce, per l’intollerabilità ad accogliere le emozioni invece di gestirle. Per questo ci creiamo un rifugio, un mondo parallelo idealizzato e modellato dove tutto è illusoriamente possibile e controllabile, una realtà asettica e anestetizzata, priva di emozioni positive e negative. Pensiamo di poter controllare tutto e ci costruiamo binari precisi da seguire scandendo la quotidianità in una routine che impone riti e schemi che danno sicurezza, riempiendola di pensieri ossessivi che fungono da protezione perché distraggono dai veri dolori che premono. Il sintomo è perciò la legge a cui non poter dire di no, che dà ordine a una vita sregolata, priva di norme o regole contraddittorie. Funge da evitamento di tutte le paure e da esclusione sociale: poiché gli altri intimoriscono, tendiamo a chiuderci in barriere difensive dentro al nostro sintomo, ed esso stesso “giustifica” l’isolamento sociale, la mancanza di amicizie e relazioni affettive.
    Questa cristallizzazione del tempo, la mancata presa coscienza di sé, costruzione di relazioni e responsabilità del ruolo che si ricopre nella società, genera un congelamento della crescita che ci fa rimanere bambine richiedendo costantemente di essere al centro dell’attenzione. Il sintomo e questa posizione di egocentrismo sono un messaggio cifrato rivolto a un genitore con cui non c’è comunicazione, il quale difficilmente riuscirà ad interpretarlo.
    La concentrazione del pensiero sul corpo, sentire che cambia da un momento all’altro e il continuo pesarsi significa concedersi l’illusione di avere tutto sotto controllo. Attraverso il controllo del peso ci diamo inoltre un giudizio (sei brava/fai schifo) ed è un modo per concedersi il sintomo, perché anche se abbiamo raggiunto il numero tanto voluto, la malattia impone di andarne al di sotto, essere sempre al risparmio di chili, calorie, energia… In questo modo è il peso che mi controlla e non io che controllo il peso, poiché quel numero sulla bilancia, quei chilogrammi hanno un potere enorme sul mio umore, sulle mie relazioni, sul mio benessere, sulla mia autostima! E’ come se alla domanda “Quanto valgo io?” rispondessimo solo in funzione di quei x kg, che sono sempre troppi, “per questo io faccio schifo e non valgo niente”...
    Permettiamo così a quel pensiero di dominarci e distruggerci, di diventare l’unica cosa fondamentale, nel meccanismo dello spostamento di pensiero per concentrarsi su un unico oggetto (il corpo), invece che su tutti i grandi dolori che ci affliggono.
    La scelta dell’oggetto del sintomo non è quindi casuale: il CIBO é PIACERE, dà GODIMENTO. E’ la prima cosa-oggetto con cui si entra in contatto appena nati, la bocca è il primo luogo di incontro con l’altro ed è piacevole. Per l’anoressica-bulimica la restrizione e l’eccesso danno quindi vita alla messa in scena del conflitto tra piacere, cibo, corpo, dimensione familiare, affettiva e sessuale che riconducono al fatto di NON RIUSCIRE A CONCEDERSI IL PIACERE, insieme al SENSO DI COLPA per il solo fatto di avere pulsioni che spingono al desiderio.
    Ma oltre al cibo la nostra vita è costellata da altre forme di schiavitù e ogni cosa può diventare sintomo-dipendenza: l’attività fisica, l’alcool, la droga, il sesso, le relazioni affettive, l’autolesionismo, lo studio, il lavoro, internet …
    Spesso si passa da una dipendenza all’altra, si sposta l’oggetto sintomatico e magari si pensa anche di stare meglio, ma il dolore rimane nell’anima. La malattia può farci passare per limbi di non-vita e apatia quasi senza accorgersene, oppure per eccessi adrenalinici e di euforia totale, tutto nel tentativo di anestetizzarsi, di non sentire il vuoto che opprime da dentro, il dolore che spinge dal profondo!
    Il sacrificio al sintomo è un vero e proprio lutto perché si rinuncia a un vero godimento, ma svuotandolo di significato e comprendendo la sua natura dentro di noi, si capisce che esso è stato un grande Amico perché ci ha protetto dalle dinamiche malate che ci hanno accompagnato fin dalla nascita e da qualcosa di più grande a cui probabilmente non saremmo sopravvissute, ma è anche un grande Nemico, perché se continuassimo a dargli ascolto, avrebbe il potere di distruggerci!
    Una vita senza sintomi e veramente libera da ogni forma di dipendenza è qualcosa da conquistare giorno dopo giorno, per chi come noi ha sempre avuto bisogno di oggetti, sostanze, persone e schemi a cui aggrapparsi, ma con la scoperta di stampelle sane di cui avvalersi, la costruzione di relazioni umane vere e prendendosi cura di sé e del proprio benessere ogni giorno, una vita vera immersa nella realtà e piena di emozioni non solo è possibile, ma è anche una scoperta incredibile!
     
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  3. speranza74
     
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    Con l'andare avanti del mio percorso a MondoSole, comunque, l'idea stessa di “guarire” si è modificata; cambiano le visioni, le prospettive. Inizialmente, infatti, quando arrivi e sei completamente “fatta” di sintomo, il tuo unico pensiero è quello di eliminare il sintomo, di perder peso, e associ questo status alla guarigione. Ma ben presto, quando l'anestesia sintomatica và scemando, allora comincia a modificarsi anche l'idea di “guarigione”, capisci che c'è tanto su cui lavorare interiormente.



    Cominci a capire che se anche arrivassi al peso “ideale” (che oltretutto non esiste... si vuole sempre di più), non saresti mai soddisfatto, che tutti i problemi, le angosce, le paure, le sofferenze, i traumi, le ansie, i sensi di colpa, gli schemi, le limitazioni, le difficoltà resterebbero.



    Ho capito quanto abbia utilizzato il mio corpo per riversarvi tutto quel dolore che avevo dentro, per non vederlo, non sentirlo, non affrontarlo, non viverlo. Tutto quel vuoto, quella carenza d'affetto che sentivo, quella mancanza, quel bisogno d'essere accettata (ho capito, che all'origine era da mio padre) niente riusciva più a colmarlo. Niente era più “abbastanza”. Tante le figure, le persone a cui ho disperatamente cercato di “andar bene”, di “elemosinare” affetto, ma oggi capisco che cercavo forsennatamente in chiunque gli assomigliasse per tratti, l'amore, l'approvazione, il “brava”, il “ti voglio bene”, che mio padre non è stato capace di darmi, pechè non sapeva neppure lui comunicarlo e non era “culturalmente” stato educato a questo.

    Cercavo disperatamente un risarcimento che non sarebbe mai bastato, proprio come il peso che si vuole raggiungere sulla bilancia ... non basta mai..nessuno andrà mai bene, perchè quella fame è insaziabile. Solo se si fa pace con quel passato, arrabbiandosi (forse non è tanto il mio caso ;) ), parlando, interiorizzando e ancora parlandone, metabolizzando, facendo e vivendo... allora quel risarcimento non si cercherà più.



    Ho imparato a uscire da me e vedere le cose da altre prospettive. Ho capito e fatte mie le modalità diverse con cui ognuno di noi, in famiglia, dava e dimostrava come sapeva, come poteva. Modalità che non avevano trovato comprensione nella mia sensibilità di bambina ma che oggi ho imparato a comprendere.



    Concentrando tutta la mia attenzione su cibo, corpo, peso, sport, la mia ossessione erano diventati i sintomi, che seppur dolorosissimi, non lo erano mai quanto tutto quello che si nascondeva sotto; tutto ciò che era più difficile e che non riuscivo ad esprimere a parole, tutto quello che avevo “ingoiato” per anni, gli anni della crescita, dell'infanzia, dell'adolescenza.



    Sono stata malata per molti anni, ma naturalmente la malattia covava già dentro da molto molto prima. Sono arrivata a MondoSole il 15 novembre 2006 dopo diversi percorsi terapeutici e ricoveri in clinica. Coperta da un cappotto nero lungo, con i capelli liscissimi che coprivano il volto, piangevo in continuazione, non dicevo una parola, avevo paura di tutto; se qualcuno mi si avvicinava temevo volesse farmi del male, non permettevo a nessuno di "entrare", ero anestetizzata completamente, non "sentivo" niente, ero "piena", con una depressione nera... solo col tempo sono riuscita a fidarmi, ad affidarmi, ho imparato a comunicare, ho cominciato ed imparato a parlare, ho capito cosa si nasconde dietro tutti i mille sintomi di cui ho avuto bisogno.

    tratto da Mondosole
     
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  4. speranza74
     
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    Tutti appellativi consoni a descrivere un male massacrante del quale “non si riesce a fare a meno”. La compulsione sintomatica diventa sempre più un bisogno insaziabile. Qualcosa di cui si ha bisogno come e p...iù dell’aria. Qualcosa alla quale non si riesce a dire NO!
    Non esiste forza di volontà né decisione di fronte a quel bisogno distruttivo, invalidante e che mette a rischio anche la vita. Un bisogno che porta, a posteriori, sensi di colpa devastanti e che fanno sentire soli, sporchi, non degni di nulla e nessuno! Quel senso di instabilità, la sensazione di non avere la possibilità di decidere, la terribile sensazione di essere totalmente impotenti verso se stessi è indescrivibile. Il sollievo, paradossalmente, arriva solo nel momento in cui si agguanta quel maledetto cibo. Incredibilmente quella stessa tortura diventa un godimento. Un piacere di cui ci si vergogna e per il quale ci si sente morire ed è proprio quello stesso godimento che porta alla dipendenza sintomatica.
    Per questo “UN PIACERE CHE TORTURA” e del quale sembra che non si riesca a fare a meno. Sembra impossibile vivere senza cibo amato e odiato, anzi, fa paura anche solo l’idea, perché per quanto dolorosa quella realtà la si conosce; una vita senza SPAVENTA INCREDIBILMENTE perché si tratta di un cambiamento grande, nuovo! A momenti si vorrebbe un cambiamento totale, a momenti no. Ma ciò che sembra impossibile è spesso fattibile! Non dall’oggi al domani… non con il “tanto amato” TUTTO E SUBITO, BENSI’ CHIEDENDO AIUTO E PORTANDO AVANTI NEL TEMPO UN PERCORSO IN CUI SI CREDE!

    Tratto DA MONDOSOLE-FACEBOOK
     
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  5. Sognatrice78
     
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    Grazie di :cuore.gif: per le belle parole che hai postato!
     
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  6. speranza74
     
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    La riscoperta del viaggio come PIACERE e INCONTRO CON L'ALTRO
    Da vocabolario italiano, la parola “viaggio” è definita come lo spostamento di persona o cose da un luogo all'altro; questo può essere perpetuato in senso fisico, per motivazioni turistiche, professionali, personali oppure in senso metaforico, come fonte di ricerca interiore o di ricerca del desiderio.
    Ebbene, in nessuna di queste accezioni ritroviamo il concetto di viaggio verso una nuova
    destinazione, una città ad esempio, come via di fuga dalle problematiche che ci affliggono.
    In senso metaforico, infatti, il significato di ricerca interiore e ricerca del desiderio entra in
    contrasto con tutto ciò che in questo spostamento fisico, noi cerchiamo e speriamo di trovare; l'anoressia, la bulimia, il binge, sono malattie in forte conflitto col DESIDERIO.
    Desiderio verso il cibo, nei confronti di una persona, dell'Altro (amato/odiato), desiderio sessuale, “desideri” emotivi, desiderio al gusto, al tatto, desiderio visivo, uditivo... nulla di tutto ciò deve manifestarsi; nessun rossore sul volto, nessuna emozione deve attraversarci. Non potrebbe essere tollerata. Solo se fossero compulsive, un desiderio, un'emozione, potrebbero essere “sopportate”, proprio come il cibo, divorato, in fretta, ingozzato, durante l'”abbuffata”... non ha sapore, non se ne sente il gusto. Il desiderio ed il piacere non stanno nell'assaporarlo, ma alimentano una dipendenza, dietro la quale si nascondono motivazioni profonde. Non si è in grado d'accogliere il desiderio senza anestesie con queste malattie.
    Per cui, già soltanto a rigore di logica, se non si vuole proseguire oltre il ragionamento, si potrebbe comprendere come queste due strade non possano che essere divergenti tra loro, essendo la prima alla ricerca di un desiderio che le seconde, in ogni forma e con ogni mezzo (sintomo) cercano di sopprimere, soffocare, negare, a se stesse, per se stesse e agli altri.
    Trasferirsi in un'altra città, per ragioni che esulano da quelle curative e terapeutiche, non è altro che una fuga, uno scappare da dolori, sofferenze, frustrazioni, dinamiche, traumi, situazioni che crediamo di poter cancellare. Crediamo che un semplice allontanamento fisico dal luogo che riteniamo averli generati, possa farci ritrovare la serenità.
    Ma non è e non sarà così. Ce li portiamo dietro. Il nostro passato ci segue ovunque andremo. I nostri dolori, le nostre paure, le nostre ansie, i nostri traumi, le nostre sofferenze, le nostre ossessioni, non ci abbandoneranno mai, qualsiasi sia il pianeta che abiteremo.
    Un viaggio, un trasferimento di città, o un qualsiasi cambiamento, comportano apertura verso l'esterno e verso l'Altro, imprevedibilità, il confronto, la conoscenza, la scoperta, il piacere, l'accoglienza delle emozioni. Ma siete proprio sicuri che, se non supportati da un adeguato sostegno terapeutico, non sarà tutto uguale a prima o forse anche peggio?
    Non è forse vero che queste malattie non tollerano l'imprevisto? Tutto deve rimanere com'è, nulla deve cambiare. Da un lato e per certi aspetti, una sorta d'immobilismo. Per altri aspetti, come il peso, il corpo, e non solo, il “tutto e subito”. La solita contraddizione insita nella nostra malattia.
    Ogni giorno gli stessi schemi, precisi, rigorosi, ossessivi, maniacali, quasi alla Jack Nicholson in “Qualcosa è cambiato”... perchè, da soli, senza un aiuto terapeutico, dovrebbero svanire nel nulla?
    Solo per il fatto che cambia il luogo? Banale, non trovate? Di certo c'è che ce la “raccontiamo” proprio bene...
    E ancora.. l'Altro non è forse “strumentalizzato” in base alle nostre esigenze malate? O non accolto, rifiutato, rigettato, come il cibo? Non può entrare se non entro certi limiti. L'Altro non è accoglibile perchè ritenuto pericoloso, invasivo, traumatico, desiderabile, perverso, edipico: ognuno ha le sue personali motivazioni da ricercare e scoprire per riuscire, poi, finalmente a far entrare l'Altro.
    Non ci può essere confronto, scoperta, conoscenza, piacere. Il Piacere per noi è una minaccia, come il cibo d'altronde. Dunque, come potremmo pensare che ci possa “piacere” VIVERE in un altra città? In fondo si tratta sempre di vivere, o meglio di come stiamo cercando di SOPRAVvivere, giusto? ...
    Tutto è concentrato e indirizzato verso un unico e solo catalizzatore che permette di non farci sentire tutto ciò che c'è dietro: CIBO, PESO, CORPO, BILANCIA, GRASSO, MAGRO, SPECCHIO....
    Prima di arrivare a MondoSole, pensavo anch'io che “cambiare” città e andare lontano da Napoli, rappresentasse la soluzione ai miei problemi.
    Per quanto bella e calorosa come metropoli, ai miei occhi rappresentava tutto il male che avevo vissuto, subito e che mi portavo dentro; che si manifestava attraverso i sintomi. Ingenuamente pensavo che lasciando Napoli, lasciavo dietro di me anche le mie sofferenze e la mia malattia.
    Speravo che tutto sparisse, che di colpo, binge, anoressia, bulimia e cutter diventassero solo un brutto ricordo.
    Naturalmente non è stato così. Sono trascorsi tre anni di puro massacro sintomatico, anche per l'intermittenza ed il mediocre sostegno terapeutico. Ero sola nelle mie paure, nelle mie ossessioni, nei miei schemi che si facevano sempre più rigidi e la malattia controllava tutta la mia vita.
    Negli ultimi mesi dei tre anni di vita pistoiese sono nuovamente “fuggita” dalla città che avevo scelto. Per rifugiarmi in un “luogo non reale”, in un luogo virtuale.
    Internet, infatti, era diventato la mia città, la mia vita, il mio mondo. Un mondo dove non bisognava confrontarsi, condividere, nel quale non dovevi incontrare l'Altro, nel quale potevi indossare infinite “maschere”, potevi descrivere a te stessa e agli altri quello che volevi, potevi nasconderti e nasconderti agli altri.
    “My Life” era il nome del mio computer. Un nome che dice tutto. Avevo delegato la mia vita ad una macchina, tra un'abbuffata e l'altra, tra un sintomo e l'altro.
    Da Napoli a Pistoia a Internet... una fuga continua, costante, in cui ero sempre più sola, senza aiuti terapeutici, ma sempre più dipendente da cibo, ossessioni, schemi...ed ora anche dal web. Un mondo pericoloso se vissuto come totalitario, come dipendenza e non come strumento lavorativo e di ricerca d'informazioni, qual è diventato oggi, grazie ad un percorso di cura. Ho capito che, senza un adeguato percorso di cura nel quale investire tutte le mie energie e senza l'aiuto di persone specializzate in grado di potermi aiutare, a cui dare piena fiducia, a cui affidarmi, vagherei ancora di città i città. Insomma sarei una nomade tuttora.
    Finalmente oggi, dopo tanto lavoro interiore, terapeutico, potrei fare un viaggio per il semplice PIACERE di conoscere qualcosa di nuovo, di diverso, d'imprevisto, con la massima apertura verso l'esterno, verso l'Altro, confrontandomi, ascoltando, comprendendo, immedesimandomi, accogliendo e vivendo nuove emozioni, scoprendo, senza bisogno di fuggire dal passato, da un passato rielaborato, metabolizzato, interiorizzato, senza bisogno di nascondermi, di indossare “maschere”.
    Il viaggio può essere ovunque, ogni giorno, in ogni piccolo posto, dietro l'angolo della strada, in ogni incontro, in ogni e per ogni conoscenza.
     
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  7. marta985
     
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    sono sottosopra. Ho letto tutto e penso di capire al 101%. boh, non mi viene da dire altro, leggere nero su bianco tutto quello che si è cercato di nascondere, prima di tutto a me stessa è davvero pesante. :cry:
    So bene che la fame e il peso sono la punta dell'iceberg ma ci vuole davvero tanto coraggio per andare ad esplorare quello che c'è sotto...

    grazie Speranza per queste righe piene zeppe di spunti di riflessione, grazie davvero :abbraccio.gif: :flowers.gif:
     
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  8. speranza74
     
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    E tu ce l'hai quel coraggio, chiunque ce l'ha devi solo attingervi :cuore.gif:

    tratto da mondosole
    Di cosa,realmente,abbiamo timore di fronte al nostro ‘ho paura’,’non ci riesco’o’non ce la posso fare’…?

    Paura..si,ma..esattamente di cosa?

    Tante volte,mi sono posta questa domanda e,puntualmente,ero incapace di darmi una risposta concreta,valida,o semplicemente,darmi una risposta.

    Questo perché era talmente tanto interiorizzato dentro di me il concetto di ‘paura’,’sbagliato’,’errore’ che qualsiasi cosa,soprattutto qualsiasi cambiamento o ‘imprevisto’ mi terrorizzava,facendo scattare in me l’automatico e immediato ‘Ho Paura’ e il conseguente rifugio e chiusura in me stessa.

    A lungo andare,diventa quasi uno stile di vita,ma è IMPORTANTE anche soffermarsi su specifici momenti in cui ciò accade in maniera più prepotente.

    Ricordo il mio pronunciare questa frase nei momenti di condivisione sociale(dopo anni di totale isolamento e ‘amicizia’ solo con i miei sintomi mortali);

    quando avevo il terrore di uscire di casa,vedere gente,o meglio,farmi vedere;

    o la paura nello scambiare due parole con una persona,anche estranea,che non mi conosceva,perché avrebbe rappresentato un mio espormi,un giudizio,un ‘mettermi in gioco’.

    Avevo ‘paura’ soprattutto,nell’incrociare il mio sguardo con un qualsiasi sguardo di sesso opposto al mio,che poteva suscitare in me una qualsiasi sensazione nuova,diversa,ma soprattutto PIACEVOLE.

    E infine la stessa paura che manifestai per anni prima di iniziare il mio percorso terapeutico.

    Anche in quel caso:cosa realmente ci spaventa?

    E’ quel pezzo di pane in più che ci fa realmente paura o è la non conoscenza ‘immediata’ di ciò cui si va incontro?E’ la paura di ingrassare,di non avere più la ‘liberta’ di pesarsi,di non avere delle proprie conferme guardandosi continuamente allo specchio o controllando ossessivamente ogni singola caloria,o è l'AFFIDARSI TOTALMENTE a qualcuno,non avendo più il ‘CONTROLLO’(apparente) su di se,sulla propria immagine,e sugli altri,che ci limita?

    E’ la ‘paura di non essere all’altezza’ o ‘fallire’ o è un vero e proprio timore,nell’esporsi,comprendere le profonde radici del nostro disagio e,a poco a poco,con tanta fatica, RIPRENDERE IN MANO la nostra vita con tutto quello che ciò comporta?



    Credo,che questo esempio,in particolar modo,renda meglio l’idea della mia domanda:

    Paura o Ancora di salvezza? Paura o Protezione?

    Per anni mi sono rifugiata nel mio dolore,per non affrontare tutte le responsabilità che la quotidianità,inevitabilmente,comporta,ma ora,più che mai,mi rendo conto di quanto il mio ‘HO PAURA’non era altro che un alibi prepotente al quale ricorrevo per non crescere,

    per restare ferma nelle mie difficoltà,nella mia malattia,nel miei sintomi,che erano sì disarmanti,distruttivi,ma ‘conosciuti,certi,protettivi’ (ovviamente era tutto inconsapevolmente).



    Ho capito che non c'è un prima o un dopo,un 'vorrei' o un 'potevo'.C'è un POSSO,UN VOGLIO,'ADESSO' perchè ogni momento è quello giusto per riprendere in mano la propria vita affidandola a chi ci può aiutare davvero,con gli strumenti giusti!
     
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  9. butterfly58
     
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    Ciao Speranza, ho letto tutto e adesso ho un senso d'angoscia. Mi sono ritrovata in quello che hai scritto, in modo particolare in data 12-4-2013, sembravo io, sembrava la mia vita. Io l'ho già capito da un po', ma vederlo scritto nero su bianco e pensare che altre persone abbiano vissuto le stesse motivazioni, dolori e difficoltà relazionandosi col mondo mi ha fatto effetto. Non pensavo di essere unica, ma in questo caso non mi fa piacere pensare che succeda a tanti. Io ho il bendaggio gastrico, ho perso circa 35 kg, ho già fatto addominoplastica e lifting cosce e come fuori, sono cambiata tanto anche dentro, ma mi rendo conto che devo starci attenta perché certe "compensazioni" possono rispuntare fuori in qualunque momento non troppo positivo (almeno per me). Ti ringrazio e ti auguro di cuore che tu possa raggiungere i traguardi che vorrai, per poter vivere serena!!!!!!!!!!!!
     
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  10.  
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    Cioa a tutti!
     
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